27 Gen

meccanica quantistica, aikido e Magna Grecia: riflessioni aspettando una nama biru

Un carissimo amico (non a caso natìo della Magna Grecia), mi ha chiesto una mia traduzione dei versi del Fondatore che ultimamente il Maestro Tada cita durante i raduni:

誠をば

さらに誠に

練りあげて

顕幽一如の

真諦を知れ

Traduzione di Paolo Calvetti:

Sulla Verità

Con altra Verità

Lavora

E conosci la Verità assoluta

Dell’unità della materia e dello spirito

Non avendo di meglio da fare in questo freddo lunedì di gennaio, accetto l’incarico in parte in cambio di una nama biru. Perchè in parte? Perchè trovo la traduzione di Paolo Calvetti assolutamente corretta e, direi anche molto banalmente, bella. Questa richiesta però mi ha portato a voler condividere non tanto uno studio tecnico-linguistico o una traduzione alternativa, ma piuttosto una riflessione più ampia stimolata proprio da una analisi inizialmente linguistica.

Forse può essere utile ricordare una traslitterazione dei versi:

Makoto oba

Sara ni makoto ni

Neriagete

Kenyū ichinyo no

Shintai o shire

Cominciamo con “Makoto oba”. Makoto si traduce naturalmente con “verità”. L’uso di “-oba” è molto particolare. È una forma ormai desueta, che appartiene ormai solo ai testi antichi del Giappone, e funge semplicemente da rafforzativo. Da enfasi alla parola che precede.

“Sara ni” e “makoto ni” si possono intendere in vari modi. Qui la scienza del linguista deve necessariamente lasciare spazio all’arte del traduttore.

Sara ni vuol dire “oltretutto”, “ancora”, “ulteriormente”, etc.; makoto ni si può tradurre con “veramente”, “sinceramente”, gli inglesi direbbero “truly” per intenderci.

A prescindere dal modo in cui decidiamo di tradurre questi primi due versi, indubitabilmente non possiamo non accorgerci di una forte, marcata sottolineatura del concetto di “verità”, del “vero”.

Davvero un grande peccato non potermi confrontare con il buon Salvatore Mergè sull’argomento, ma azzardo l’ipotesi che anche lui, leggendo questi versi, fu piacevolmente colpito da alcune assonanze con la Tavola di Smeraldo attribuita ad Ermete Trismegisto:

“Verum, sine mendacio certum et verissimum, quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius. […]”

“È vero senza menzogna, certo e verissimo” ricorda molto appunto l’attacco: “Makoto oba / Sara ni makoto ni”.

E ancora, il gioco dell’apparente dualità “superius/inferius” della tabula smaragdina rimanda alla parola giapponese 顕幽 dei versi di O’Sensei, composta dai due kanji ken=chiaro, evidente, manifesto e yū=appartato, oscuro.

Abbiamo poi quel “neriagete” (forgia e forgiati, lavora incessantemente, affina e raffina con forza e dedizione) del Fondatore che sembra un comando, una ammonizione. Neriageru è una espressione che riprende spessissimo il Maestro Tada a lezione sia al Gessoji dojo che in Italia, e che si può dire essere l’essenza se vogliamo del Kinorenma.Non a caso un’altra forma del kanji del verbo neru るè る, scelta dal Maestro per dare un nome alla parte più importante e centrale del suo insegnamento: il Kinorenma (気の磨). Questa stessa idea, anzi esortazione, al lavoro inteso anche come sforzo pratico e continuo (mi viene l’immagine del fabbro, dell’incudine, maglio e fucina) la troviamo nella tabula:

“Separabis terram ab igne, subtile a spisso, suaviter cum magno ingenio.”

Lavorare su cosa? Sulla Verità. In che modo? In modo vero, autentico come forse direbbe Heidegger.

“ […]ad perpetranda miracula rei unius”, per fare i miracoli di una sola cosa… confronta con “E conosci la Verità assoluta/Dell’unità della materia e dello spirito”.

Forse dicono la stessa cosa, o forse indicano la stessa direzione, sta di fatto che ho l’impressione che se avessimo potuto far leggere questi versi di O’Sensei a Newton o a Paracelso, così per dirne due a caso, io credo che avrebbero fatto fatica a credere che provenissero da una terra così tanto più lontana dell’antico Egitto.

Non è certamente questo l’ambito adatto per considerazioni filologiche sulla provenienza della tabula, né tanto meno lo è per una discussione su linee di convergenza tra l’ermetismo filosofico e l’aikido.

Di fatto questi ma anche molti altri versi di O’Sensei parlano e alludono ai grandi problemi filosofici che da sempre coinvolgono l’uomo. Andando un pochino più a fondo nell’insegnamento del Fondatore ci si trova necessariamente coinvolti in una riflessione interiore, quasi sempre ontologica ed epistemologica, che solo apparentemente sembra lontana dal metodo e dallo scopo dei grandi problemi alla base della tradizione filosofica occidentale. Dai presocratici a Heidegger fino ai contemporanei, possiamo trovare importanti spunti di riflessione tra l’aiki e la nostra tradizione filosofica, per non parlare poi di tradizioni non propriamente filosofiche in purezza quali appunto l’ermetismo. Ma noi siamo praticanti di aikido non studiosi accademici (d’altra parte la filosofia si fa!), e allora planiamo nuovamente sul tatami e sentiamo quello che ha da dirci il Maestro Tada a riguardo. O meglio, chiediamoci: perché questi versi, ora?

Di recente il Maestro Tada ci parla spesso di meccanica quantistica. Semplificando al massimo, e sicuro nel profondo sdegno da parte di fisici e ingegneri, si può riassumere in parte il senso del suo discorso all’interno della narrativa più ampia che è suo insegnamento, in questo modo: se provi ad osservare le particelle elementari, nel momento stesso che lo fai esse muteranno, si trasformeranno, essenzialmente saranno diverse. Per osservare, devi illuminare ma la luce che userai cambierà ciò che stai ricercando. Il metodo stesso ha conseguenze sull’oggetto dell’indagine in un esperimento. Naturalmente non si tratta di mera epistemologia. Sul tatami, se il tuo compagno di pratica avverte a livello inconscio la tua intenzione di eseguire una tecnica, questo avrà delle conseguenze, che saranno riscontrabili in una conseguente alterazione, o forse dovremmo parlare più precisamente di attivazione, anche – ma verosimilmente non solo – a livello inconscio. Le conseguenze di questo tema sono, invero, di portata estremamente profonda e significativa a tutti i livelli.

Se volessimo giocare ancora con il suggestivo e seducente trastullo che è l’andare a cercar punti di unione tra la filosofia nostrana e il pensiero orientale declinato in chiave aikidoistica, è come se, usando i versi e parlandoci di fisica quantistica, Tada sensei ci aiutasse in fondo a depotenziare e disinnescare l’antica, violentissima faida tra empiristi e razionalisti. Certamente non come farebbe Kant, per citarne solo uno: qui si tratta di un modo di vivere il superamento delle polarità, e quello che, nel mio piccolo, ho colto per un attimo fugace, anzi più precisamente fulmineo, è che non si può sperare di uscire indenni dal mondo delle polarità se lo si affronta in uno stato interiore di dualità. Ma questo è un discorso che ci porterebbe ad essere molto terra-terra, e io già sento i professoroni delle università sbuffare, e così concludo i miei dieci centesimi di contributo su questo tema aspettando la nama biru promessa dell’amico, che molto magna e poco Grecia!